Ti spiego passo passo cosa puoi fare da solo e quali sono i trattamenti più efficaci!
Se senti dolore alla spalla o hai avuto diagnosi di calcificazione ad uno dei tendini della cuffia dei rotatori è arrivato il momento di capire cosa sta succedendo.
Leggendo questo articolo saprai che cos’è una tendinite calcifica, quali sono le cause di questa patologia, cosa puoi fare per ridurre i fattori di rischio e le possibilità di trattamento che esistono.
Ti lascio qui l'indice dell'articolo così puoi leggerlo per intero o andare dritto a ciò che ti interessa.
Indice dell'articolo
La tendinopatia calcifica è una patologia che può interessare tutto il corpo, ma è maggiormente conosciuta come un disturbo della cuffia dei rotatori. Generalmente viene diagnosticata attraverso l’uso di imaging, in particolare con la radiografia per evidenziare la presenza di calcificazioni ed eventualmente coadiuvata ad ecografia e RMN se si sospettano altre alterazione tendinee associate.
Il dolore è causato dalla presenza di depositi di calcio a livello dei tendini della cuffia dei rotatori, nello specifico si di tratta di cristalli di idrossiapatite. È possibile trovarli della porzione intermedia del tendine, o in quella inserzionale, e nella sinovia. Diverse ricerche sottolineano che le calcificazioni sono più frequenti nel tendine del sovraspinoso a circa 1-2cm dalla testa dell’omero, rispetto agli altri tendini della cuffia dei rotatori. Sono infatti meno frequenti nell’infraspinato, nel sottoscapolare e nel piccolo rotondo.
Ma qual’è la causa di questa patologia?
La letteratura scientifica non sembra d’accordo sull’esistenza di una singola causa scatenante, ma gioca un ruolo fondamentale la multifattorietà nella patogenesi della calcificazione. Alla base si ipotizzano traumi ripetuti, eccessive sollecitazioni meccaniche, alterazione dei pattern muscolari e predisposizione genetica.
Non a caso il tendine maggiormente coinvolto è il sovraspinoso. Questo subisce uno stress meccanico da non trascurare perché il suo tendine si trova costretto a passare tra due superfici ossee, l’acromion e la testa dell’omero. Se la testa dell’omero non scende nel cavo ascellare nell’abduzione del braccio, schiaccia il tendine del sovraspinoso contro l’acromion riducendone lo scivolamento e favorendo una potenziale lesione.
A livello istopatologic la tendinopatia calcifica sembra essere l’effetto di una alterazione nei processi di guarigione cellulare. Le tendono stem cells sono cellule staminali tendine non ancora differenziate. Questo vuol dire che potrebbero diventare sia tenociti, cellule che stimolano la formazione di tessuto connettivo riparando la struttura del tendine, ma potrebbero differenziarsi anche in condrociti e osteoblasti.
Un eccessivo sovraccarico ed un accumulo di microlesione sembrerebbe portare ad una alterazione di questo equilibrio ed all’inizio del processo condrometaplasico perché le cellule staminali trasformate in condrociti stimolano la formazione di depositi di calcio.
Anche la genetica ha un ruolo decisivo. Potrebbe spiegare perché alcune persone sembrano avere più recidive di altri e quindi una predisposizione maggiore. Questo sembrerebbe essere dovuto ad una alterazione dei geni ANK e TNAP che favoriscono la deposizione di cristalli di calcio come spiegato dallo studio del 2001 di Maldonado et al.
L’evoluzione di questa patologia è divisibile in tre fasi:
Precalcifica in cui generalmente non si ha dolore, ma sono presenti alterazioni meccaniche e metaboliche del tendine. In questa fase vi è un rallentamento dei processi di guarigione del tessuto ed un mancato adattamento tendine.
Calcifica la quale è divisibile ulteriormente in una fase di formazione, di riposo, di riassorbimento. Nella fase di formazione le cellule staminali si sono trasformate in condrociti ed iniziano a depositare calcio. Questo si cristallizzerà soltanto nella fase successiva, detta di riposo, in cui la calcificazione raggiunge dimensioni anche maggiori di 1,5 cm. Infine, nella fase di riassorbimento si ha la calcificazione vera e propria associata ad infiammazione e dolore. Potremmo definirla una fase acuta vera e propria, spesso associata a dolore severo da 3 settimane a circa 6 mesi. Questa parte è importante per attivare la risposta immunitaria necessaria al riassorbimento della calcificazione.
Postcalcifica in cui il dolore sparisce perché il calcio viene riassorbito.
Ma lo sapevi che non tutti provano dolore?
Proprio così. Nonostante la tendinopatia calcifica colpisca tra il 2,7 e il 10,3% della popolazione, soltanto il 50% di queste manifestano sintomi.
Questo complica le cose se ci pensi.
Potresti avere una calcificazione senza saperlo perché non hai sintomi; Potresti avere una spalla dolorosa con/senza calcificazione; Ma potresti anche avere una calcificazione e dei sintomi non strettamente collegati ad essa. Che confusione!
Ma allora come scoprire se hai una calcificazione?
Per identificare e localizzare una calcificazione nella spalla dolorosa lo strumento gold standard è la radiografia perché evidenzia in particolare le strutture osse ed è economica. Si dovrebbero fare più proiezioni ponendo maggior interesse sul tendine del sovraspinato che è maggiormente colpito. Un altro valido strumento è l’ecografia, non ha controindicazioni, è specifico, facile da reperire ed economico.
Al contrario, la risonanza magnetica RMN e la tomografia computerizzata TC non sono consigliate perché non ci danno informazioni aggiuntive.

A mio parere, non è necessario fare immediatamente degli accertamenti diagnostici, ma iniziare con la terapia e se in 3 settimane non vi è nessun miglioramento allora indagare più a fondo. Ti dico questo perché spesso si perde tempo, il dolore potrebbe non essere associato ad un danno strutturale, la terapia non cambia significativamente, e usare termini come “calcificazione”, “lesione” e “infiammazione” peggiorano l’outcome negativamente, facendo focalizzare la persona sul danno e non sul miglioramento.
Se vuoi sapere cosa posso fare per te clicca qui. Altrimenti continua a leggere per sapere quali sono i fattori di rischio che puoi modificare.
Ci sono dei fattori di rischio interni ed esterni. Quelli interni non sono modificabili e sono il sesso, l’età tra i 30 e i 60 anni, e la predisposizione genetica, già citata prima. Le donne, ad esempio, sono colpite più del doppio rispetto agli uomini.
I fattori che invece puoi modificare sono invece quelli esterni, dovuti al lavoro ed alle posture automatiche. Sembrerebbe che la posizione dei braccio in rotazione interna e leggera abduzione sia la peggiore e che porti nel tempo ad una degenerazione delle strutture tendine. I lavori più soggetti sono i cassieri, i sarti, i lavoratori al pc e chi svolge lavori ripetitivi all’interno di catene di montaggio. So che la maggior parte delle volte il lavoro non si può cambiare, ma bastano piccoli accorgimenti per sentire meno lo stress.
I miei consigli sono di muoversi e variare spesso posizione e postura. Per esempio, se devi tagliare tanti tessuti per poi cucirli, potresti alternare le due tipologie di lavoro in modo da ridurre il lavoro ripetitivo. I muscoli del braccio non sono strutturati per lavorare tante ore perché hanno una prevalenza di fibre rosse, possono invece fare lavori di forza e potenza ma per un tempo ridotto. I muscoli tonico-posturali della schiena invece, sono ricchi di fibre bianche che sono molto resistenti perché devono sostenerci in piedi.
Il trattamento delle calcificazioni è nella maggior parte dei casi conservativo, mirato all’educazione del paziente, alla riduzione del dolore ed alla prevenzione di limitazioni di movimento.
È importante sapere qual’è l’evoluzione della patologia in modo da avere tempistiche chiare ed obiettivi reali.
Il primo obiettivo è senza dubbio ridurre il dolore nella fase acuta attraverso la terapia farmacologica, la terapia manuale e strumentale. Sono consigliati farmaci anti-infiammatori non steroidei perché degli studi recenti hanno evidenziato che il cortisone rallenta la guarigione dei tessuti. Pensavo di scrivere un articolo proprio su questo topic.
La terapia manuale e gli esercizi terapeutici possono dare una ulteriore accelerazione contro il dolore.
Una delle terapie maggiormente utilizzate sono le onde d’urto perché danno risultati nel breve periodo con un impegno relativamente basso (3/6 sedute a cadenza settimanale). Le sedute sono variabili perché gli studiosi non si sono ancora accordati sull’intensità, la dose e l’intervallo di somministrazione. Personalmente, mi attengo alle linee guida fornite dai fornitori del macchinario che utilizzo.
Funzionano? Si.
Sono migliori di altre terapie? Recenti studi dicono di no. Hanno lo stesso effetto di terapia manuale ed un programma di esercizi ben svolto.
Le utilizzo? Decisamente si. Associato alle terapie manuali che conosco ed a pochi esercizi da svolgere in autonomia.
In una minima fetta di pazienti è opportuno valutare il trattamento chirurgico. I motivi sono il fallimento del trattamento conservativo per oltre 6 mesi, una calcificazione troppo grande, una qualità di vita ridotta. In questi casi si procede con l’asportazione della calcificazione, decompressione sub-acromiale o acromion-plastica in modo da ridurre lo stress meccanico sul tendine sovraspinoso.
In conclusione, il trattamento della tendinopatia calcifica consigliato è conservativo, mirato alla risoluzione della sintomatologia dolorosa ed all’educazione del paziente riguardo i fattori di rischio.
Spero che questo articolo ti abbia aiutato a capire i meccanismi patologici della calcificazione e quali sono i trattamenti per non sentire più male.
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Qui trovi la bibliografia dai cui ho preso questi dati
Mi piace condividere questa parte del mio lavoro perché quello che scrivo non sono solo consigli basati sulla pratica ma soprattutto dati di lavori scientifici internazionali.
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